Articolo web sull'ultimo corso che ho tenuto


Il 9 dicembre 2008 si è concluso all'Istituto Tecnico Commerciale ''Stenio'' di Termini Imerese il progetto scolastico di Videogame Design tenuto dall'ing. Piermarco Rosa, Direttore Esecutivo del Master in Videogame Design presso l'Istituto Europeo di Design di Roma.
Il progetto, della durata di trenta ore, ha visto la partecipazione di alunni delle quarte e delle quinte classi dell'istituto che hanno dimostrato impegno, entusiasmo e creatività durante le lezioni.
Il corso si è proposto di avvicinare gli studenti alla professione del designer di videogiochi, il quale, oltre a spiccate doti creative, deve possedere pure delle eccellenti abilità di comunicazione, delle ottime conoscenze di marketing di settore, e delle non trascurabili qualità di team management, visto che si occupa di coordinare la squadra di sviluppo che trasformerà il suo progetto in un prodotto di mercato.
Grazie a lezioni sull'evoluzione del mercato dell'electronic entertainment, sul profilo socio-demografico dei suoi consumatori, e sulla case history di alcuni videogiochi di successo, gli allievi del corso si sono avvicinati a questa professionalità così complessa, che hanno poi iniziato a praticare attraverso vari esercizi (di analisi e di sintesi comunicativa, di creatività e progettazione) che sono culminati con la realizzazione di un documento di progetto per un videogame su cellulare. Il mercato dei videogiochi, afferma l'ing. Rosa, nonostante la recessione globale, è l'unico a mostrare ancora una sostanziale crescita di fatturato e di profitti a livello mondiale: si pensi che, solo l?anno scorso, ha registrato da noi in Italia un aumento del giro d?affari di circa il quaranta per cento rispetto all'anno precedente, e che anche per il 2009 le previsioni non sono negative come per molti altri settori del mercato. È in un panorama di questo tipo che si rendono necessari dei corsi di formazione per figure professionali, come quella del game designer, sempre più richieste in un mercato dinamico e proiettato attivamente nel futuro quale è il settore dell'electronic entertainment. A tal proposito è da sottolineare la lungimiranza mostrata dal prof. Antonino Militello, Dirigente Scolastico dell'Istituto ''Stenio'', nell?offrire agli allievi l'opportunità di partecipare a questa preziosa esperienza formativa, e c'è da augurarsi che il suo esempio sia seguito da altri responsabili dell'educazione scolastica nel nostro Paese.

L'articolo è visionabile anche all'indirizzo http://62.77.63.181/isn_stenio_it/notizia.aspx?id=4b36160a-fdcc-4923-873e-32e5c0dc44ab

GamePro (dicembre 2008)


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Alter Ego

Cosa succede quando un brillante psicologo appassionato di videogame si mette in testa di fare il game designer?
È quello che ha voluto sperimentare nel lontano 1986 il dottor Peter J. Favaro, allora psicologo dell’UCLA (la più prestigiosa università di Los Angeles), cimentandosi nella creazione di Alter Ego, il primo e probabilmente l’unico vero “simulatore di vita” mai finora realizzato.
“Se potessi tornare indietro, col senno del poi… quanto sarebbero differenti le mie scelte?” Questa domanda, che sicuramente ci saremo spesso posti in molti, campeggiava sul retro della confezione di Alter Ego, prodotto da Activision per tutti i computer più diffusi dell’epoca: Apple Macintosh e serie II, Commodore 64 e 128, IBM e Tandy. Un gioco affascinante, provocatorio e persino rivelatore; tra i primi a permettere di interpretare un maschio o una femmina - ne esisteva infatti pure una versione appositamente dedicata alla simulazione di vita femminile – e a presentare l’avvertenza (per i genitori) che dato il realismo degli argomenti trattati e la presenza di materiale sessualmente esplicito – comunque facoltativo - ne consigliava un utilizzo ai maggiori di quindici anni.
Lo scopo era quello di creare una specie di gioco di ruolo (testuale) in cui si potesse condurre un’intera esistenza alternativa dalla nascita fino alla morte - tranquilla e naturale o anche violenta e accidentale - diversa a ogni partita, vivendo virtualmente tutta una serie di esperienze (emotive, intellettuali, familiari, sociali, sessuali e lavorative) di fronte a cui porsi con un certo atteggiamento e prendere differenti decisioni, per poi sperimentarne le conseguenze più o meno positive. Si sarebbe quindi potuta condurre una vita onesta o dissoluta, tranquilla o rischiosa, stabilire l’orientamento della propria carriera lavorativa, sposarsi e mettere su una numerosa famiglia o anche fare i dongiovanni per l’intera esistenza, e ogni scelta avrebbe portato a un risultato diverso, mutando di conseguenza il percorso di vita, la propria personalità virtuale e persino la maniera in cui essa veniva percepita dagli altri all’interno del mondo di gioco.
“Molti di noi fantasticano sul poter fare le cose diversamente, conducendo stili di vita alternativi, magari nei panni di qualcun altro”, ha affermato lo stesso dottor Favaro, “Io ho creato Alter Ego in modo che tutti possano soddisfare questo desiderio in modo divertente e privo di rischi”.
E c’è riuscito? Sicuramente meglio di ogni altro videogame, inclusi diretti discendenti più tecnologicamente avanzati come la famosa serie di The Sims a opera di Will Wright ed Electronic Arts, maggiormente improntata sul voyeurismo piuttosto che sull’interpretazione diretta di un personaggio e meno approfondita nella ricchezza e nel realismo esperienziale rispetto ad Alter Ego.
Per conseguire il suo ambizioso obiettivo, Favaro, in modo da ottenere la maggior varietà e molteplicità possibile di situazioni di vita, intervistò centinaia di persone d’ambo i sessi e di ogni età, raccogliendo il loro vissuto più memorabile; selezionando poi gli episodi più significativi e maggiormente condivisi, ne valutò - grazie alla propria preparazione psicologica e al contributo di un gruppo di colleghi - le implicazioni alternative, l’impatto sulla personalità e sul relativo contesto sociale, e infine li assemblò in una sorta di database da cui poter attingere durante il gioco.
Come ha detto lo stesso Favaro: “Abbiamo compreso come da ogni singola risposta fosse praticamente impossibile fornire un ritratto accurato di una persona. Ma ci siamo pure accorti che, dovendo rispondere a centinaia di domande durante una partita di Alter Ego, avevamo un’ottima chance di tratteggiare la personalità del giocatore”.
E difatti il gioco si compone di numerose esperienze, ognuna delle quali influisce su un certo numero di caratteristiche psicologiche della propria personalità virtuale. Dato che uomini e donne vivono episodi peculiari durante la loro esistenza, Alter Ego, per fornire un quadro ancora più realistico e meticoloso, venne realizzato – come già scritto prima - in due distinte versioni: la maschile e la femminile, chiaramente giocabili indipendentemente dal sesso dell’utente, aspetto che ne aumenta ulteriormente la profondità e il divertimento.
Si potrà quindi decidere di giocare interpretando una replica di sé stessi oppure di sbizzarrirsi nell’agire come si è solo finora immaginato, magari comportandosi come non si ha mai avuto la prontezza o il coraggio di fare. E visto che ogni decisione porterà a delle conseguenze, si potrà pure scoprire e imparare qualcosa su sé stessi, anche grazie ai commenti di volta in volta elargiti da una voce narrante – quella dello psicologo – che ha lo scopo, tra le altre cose, di provocare il giocatore per stimolarne reazioni differenti.
In Alter Ego ci si costruisce innanzitutto una personalità di partenza mediante un interessante test psicologico che la delinea attraverso l’attitudine sociale, intellettuale, professionale, familiare e fisica; nonché per mezzo di caratteristiche emotive come la razionalità o l’impulsività, la gentilezza o l’aggressività, la sicurezza o la titubanza, l’ottimismo o il pessimismo, la calma o l’ansia, l’espressività o la chiusura, l’affidabilità o la slealtà.
Si passa poi a decidere se affrontare tutta la vita del proprio alter ego fin dal suo principio, oppure se partire direttamente da una delle sette fasi in cui risulta suddivisa: nascita e infanzia, fanciullezza, adolescenza, giovinezza, età adulta, mezza età, vecchiaia.Ogni fase presenterà una serie di esperienze (cioè di accadimenti per lo più inaspettati) e di scelte di vita (dov’è quindi permesso un maggior controllo degli eventi, come nel caso delle decisioni scolastiche o finanziarie) riguardanti svariati aspetti della propria esistenza e personalità, raffigurate mediante delle icone che ne simboleggiano l’ambito specifico (sociale, sentimentale, professionale, familiare e così via). Questi episodi potranno essere selezionati a piacere dal giocatore e secondo l’ordine che più preferisce; ogni episodio farà aumentare il contatore del tempo di un certo periodo, fino ad arrivare al raggiungimento dell’età che segna il termine della fase attuale e il passaggio alla successiva, con nuove esperienze disponibili e scelte adatte al ciclo d’età in questione. Talvolta non sarà possibile selezionare alcune esperienze, sebbene presenti all’interno della stessa fase, magari perché non si è ancora raggiunta la giusta età nel gioco o perché non si possiedono i requisiti adatti: per esempio, non sarà possibile vivere un’esperienza lavorativa se prima non si è trovato un lavoro, oppure sposarsi se prima non si è costruito un rapporto con un partner.
Gli episodi che si potranno sperimentare in ogni fase sono talmente numerosi da rendere impossibile il riuscire ad affrontarli tutti; ogni episodio presenta un contesto narrativo rispetto al quale fornisce al giocatore l’opzione di scegliere un atteggiamento caratteriale da accoppiare con una decisione selezionata tra una lista di possibilità: non conta quindi solo l’azione effettuata ma anche il comportamento con la quale la si attua. Il mix di questi due fattori porterà a delle risposte che muteranno i valori connessi alle caratteristiche della propria personalità, e ciò influenzerà tangibilmente l’esito delle proprie decisioni future: il computer, infatti, terrà conto dei valori legati a ogni caratteristica e permetterà o vieterà di conseguenza determinate azioni da parte del giocatore, stabilendone pure il risultato in modo differente. Per fare un esempio, mi era capitato, quand’ero bambino, un episodio piuttosto delicato: un giorno, mentre ero al supermercato con un mio amichetto, quest’ultimo ha iniziato a rubacchiare, mettendosi in tasca alcuni oggetti. Sebbene io non lo abbia imitato e anzi abbia tentato di dissuaderlo, lui ha continuato. Ma la cosa nefasta è stata che a mia insaputa mi ha infilato in tasca un sacchetto di caramelle e, ancor peggio, il commesso mi ha pure beccato con la refurtiva addosso e mi ha accusato di furto, telefonando addirittura a mia madre (mentre il mio amico non è stato colto sul fatto ed è uscito indenne dal negozio). A questo punto, il gioco, andando a valutare il mio livello di affidabilità (il quale risultava piuttosto alto perché mi ero sempre comportato da ragazzino esemplare), ha stabilito che mia madre decidesse di fidarsi di me, credendo alla mia innocenza anziché punirmi per una colpa che non avevo in effetti commesso.
Allo stesso modo, una sera, la prima volta che dovevo andare a dormire a casa di un amico, preoccupato dal fatto che i miei genitori potessero non essere più in casa al mio ritorno l’indomani, mi sono sentito dire dal mio babbo che lui e mamma sarebbero potuti essere rapiti dagli alieni; era chiaramente uno scherzo, e difatti ho deciso di non impensierirmi per questo, ma a questo punto la voce narrante mi ha detto che la comprensione della battuta poteva essere eccessiva per un bambino, e ha quindi controllato il valore della mia sfera intellettuale, rivelandomi infine che, risultando molto intelligente per la mia età, ero stato effettivamente in grado di discriminare in quanto tale la burla di mio padre.
Le qualità caratteriali possiedono un punteggio percentuale (sempre visionabile da parte dell’utente) che le qualifica in un modo o secondo il loro opposto: ad esempio, un valore alto di razionalità indicherà un basso grado di impulsività e viceversa, come anche una misura alta di aggressività sarà sintomo di un basso tasso di gentilezza e viceversa. In realtà non esistono caratteristiche necessariamente giuste o sbagliate: come nella vita reale, alcune qualità sono più adatte di altre a seconda della situazione o del contesto; così ogni caratteristica finisce col presentare pregi e difetti nel contempo: per esempio se da una parte l’aggressività caratteriale può costituire uno svantaggio nel caso in cui sia necessario saper chiedere un favore nel modo giusto, al contrario - nel caso in cui ci si tenti di imporre all’interno di un gruppo o magari si concorra per ottenere un ambito posto lavoro - potrebbe rappresentare un vantaggio non indifferente.
In molti casi il gioco considera un ensemble di qualità per valutare l’esito delle scelte dell’utente: tanto per riprendere l’esempio del posto di lavoro, nel caso in cui da adolescenti si voglia tentare di essere assunti come commessi in un negozio, bisognerà possedere le giuste abilità sociali, ed essere anche affidabili e intelligenti. Quindi, pur magari possedendo le necessarie attitudini sociali e risultando piuttosto intelligenti, se non si viene valutati come abbastanza affidabili, non si otterrà comunque il posto di lavoro.
È naturalmente possibile tentare di variare volontariamente le proprie caratteristiche migliorando in questa o in quell’area del proprio carattere (anche se ciò magari non sarà facile, proprio come accade nella realtà) e per riuscirci basterà focalizzarsi specialmente su esperienze e scelte di vita riguardanti l’ambito che si vuole migliorare: a tal proposito, nel caso in cui si continuino a collezionare dei deprimenti due di picche durante gli appuntamenti sentimentali, sarà probabilmente saggio aumentare le proprie attitudini sociali e carismatiche; per far questo bisognerà sperimentare il maggior numero di esperienze sociali possibili (e chiaramente completarle nella maniera più adatta, in modo da perfezionare le giuste qualità comportamentali): grazie a ciò si potrà in seguito verificare che i potenziali partner iniziano a relazionarsi con noi in modo più compiacente e indulgente.
Alter Ego, nonostante la sua interfaccia spartana e il suo comparto audiovisivo praticamente inesistente, rimane ancor oggi un videogame eccellente. Ogni gioia e dolore della vita sono rappresentati in modo accurato e oggettivo, senza tabù e con un tocco di umorismo che non guasta mai: dalle prime esperienze familiari alle amicizie d’infanzia, dalle ribellioni adolescenziali alla scoperta del sesso, dai successi e difficoltà nel percorso scolastico a quelli nella carriera lavorativa, dalla gestione più o meno oculata delle proprie finanze (incluse spese folli e mutui per la casa) alla scelta del partner, dalle responsabilità matrimoniali alle tentazioni extra coniugali, dalle gioie della paternità (o maternità) alle preoccupazioni per i figli, dagli acciacchi di mezza età ai mille problemi della vecchiaia.
Sebbene ai tempi della sua uscita non abbia riscosso il pieno successo che meritava (a mio parere perché troppo avanti e troppo diverso rispetto a tutti i videogame dell’epoca), Alter Ego è stato comunque lodato dalla critica e ha venduto abbastanza da permettere al dottor Favaro di comprarsi casa e auto (beato lui). Ancor oggi Alter Ego è rimasto nel cuore di molti appassionati, ed è possibile giocarne un remake piuttosto fedele online all’indirizzo: http://www.theblackforge.net/ .
Se Peter Favaro, la bellezza di ventidue anni fa, è stato in grado di creare praticamente da solo un gioco come questo, pensate che cosa – volendo riprendere in mano il progetto Alter Ego - si potrebbe riuscire a far oggi con una nutrita squadra di sviluppatori e le odierne tecnologie…

La saga di Shenmue

Innanzitutto una breve e sentita premessa: ringrazio tutti voi per il calore e l’affetto dimostratomi con i vostri meravigliosi post e i fantastici complimenti che spero di meritare negli interventi di questo neonato blog.
Mi auguro che vogliate aiutarmi a farlo crescere soprattutto grazie ai vostri punti di vista e alle eventuali domande a cui sarò lieto di provare a rispondere.



Passiamo ora all’argomento del giorno: come nel post precedente, rimarrò nel settore dei capolavori videoludici che non hanno riscosso un meritato successo commerciale (ma dal prossimo intervento prometto di cambiare categoria) per parlarvi di Shenmue, l’opera per eccellenza del grande Yu Suzuki. Tenete conto che si tratta di un titolo del 1999 (ma la sua gestazione è iniziata nel 1994) e guardatevi questo trailer, dove è ben resa l’idea delle qualità tecniche ma soprattutto artistiche senza precedenti - dalla regia alla fantastica colonna sonora - di questo incredibile videogame:



Yu Suzuki (classe 1958) è uno dei game designer più geniali di tutti i tempi, nonché una delle menti che contribuirono in modo cruciale alla fioritura dell’industria dell’electronic entertainment negli anni ’80; periodo in cui i videogame erano ancora un prodotto di nicchia (che avrebbe poi conosciuto un massiccio sdoganamento sul mercato di massa solo verso la metà degli anni ’90, grazie a Sony Playstation e al personaggio di Lara Croft) e il loro regno incontrastato era rappresentato dalle sale giochi, dove facevano bella mostra di sé attraverso ingombranti e colorati cabinati. Data la loro natura da intrattenimento veloce, i coin-op (abbreviazione di coin operated, cioè “funzionanti a gettone”) dovevano attrarre e conquistare in appena una manciata di secondi l’attenzione dell’utente di passaggio, che doveva restarne da subito ipnotizzato e sentirsi così motivato a inserire le monete per iniziare una partita. Proprio per questo, qualità come la grafica, l’immediatezza delle meccaniche di gioco e la semplicità dell’interfaccia rappresentavano i veri punti di forza di un coin-op vincente. Quale titolo migliore di un frenetico gioco di gare motociclistiche con prospettiva tridimensionale, allora, per catalizzare l’attenzione del pubblico? È infatti con “Hang On” che Yu Suzuki nel 1985, dopo essere stato assunto in Sega come programmatore nel 1983 (fortunatamente per noi non era riuscito a passare l’esame di ammissione per studiare da dentista), firma il suo primo videogame di successo. Legandosi a questa formula del gioco dal ritmo veloce e incalzante, appartenente per lo più al genere delle corse con prospettiva tridimensionale (e visuale posteriore in terza persona), Suzuki traccia in appena due anni un percorso costellato di grandi titoli che si imporranno all’attenzione del pubblico mondiale: come Space Harrier (uno shoot’em up sempre del 1985 che riprende le meccaniche di un racing game), Out Run (videogioco del 1986 che rivela la passione di Suzuki per le Ferrari, poi consacratasi tredici anni più tardi con il coin-op Ferrari F355 Challenge, lodato pure da Ruben Barrichello che voleva acquistarne un esemplare per far pratica di guida :-)) e After Burner (un adrenalinico gioco di combattimenti tra aerei prodotto qualche mese dopo sulla falsariga del successo conquistato dal famoso film “Top Gun”).
Sono prodotti che varcheranno la soglia delle sale giochi e riscuoteranno un consenso tale da motivarne le rispettive trasposizioni per tutte le piattaforme ludiche dell’epoca, dalle console di Sega agli home computer.
Trascorso qualche anno di pausa (durante il quale vennero comunque prodotti i sequel delle sue prime opere) Suzuki torna alla ribalta del panorama mondiale nel 1992 inaugurando la serie dei Virtua Games (caratterizzata dalla sostituzione della grafica bitmap con quella poligonale volta a costruire ogni forma rappresentata nel gioco mediante solidi tridimensionali), la quale dopo il coin-op di gare automobilistiche (manco a farlo apposta!) chiamato Virtua Racing, raggiungerà lo zenit nel 1993 con Virtua Fighter, prima consacrazione tridimensionale dei videogame di combattimenti d’arti marziali, un titolo di prodigioso successo mondiale che vinse numerosi riconoscimenti, arrivando a far parte – unico gioco giapponese - della collezione permanente sull’Information Technology nel Museo Nazionale di Storia Americana a Washington, D.C.
Fu proprio grazie a un viaggio in Cina fatto durante la lavorazione di Virtua Fighter e alla sua passione per il kung fu che Suzuki iniziò a concepire un progetto che lo avrebbe impegnato per cinque anni e che sarebbe poi diventato Shenmue. Originariamente ideato per la console Saturn (il 32 bit di Sega diretto concorrente della più fortunata Sony Playstation) e poi, a causa delle limitate risorse tecniche della macchina, rielaborato per il più potente hardware del nascituro Sega Dreamcast e provvisoriamente identificato col nome in codice di Project Berkeley, Shenmue fu presentato al pubblico attraverso un GD-ROM (erano chiamati così gli speciali dischi ottici da un gigabyte di memoria supportati dal Dreamcast) incluso nell’edizione speciale giapponese di Virtua Fighter 3tb per la console Dreamcast di Sega lanciata nel 1998 (e difatti, inizialmente, Shenmue doveva narrare la storia proprio di uno dei combattenti di Virtua Fighter: Akira; poi sostituito con un nuovo protagonista e una vicenda di più ampio respiro). Eccovi una parte del raro documentario (rigorosamente in giapponese) contenuto nel sopracitato GD-ROM, dedicato a Yu Suzuki e al suo Project Berkeley, dove Suzuki ripercorre le tappe salienti della sua carriera lavorativa e inizia a specificare che Shenmue non sarà un gioco di ruolo classico (da sottolineare che i giochi di ruolo sono il genere videoludico più popolare e apprezzato in Giappone). Il tutto è preceduto da una breve introduzione che mostra una beta version di Shenmue:



Pensato come un’opera divisa in sedici capitoli, Shenmue molto probabilmente non vedrà mai il suo compimento, dato che ne sono finora usciti solo due episodi (il primo disponibile per Dreamcast, e il secondo, risalente al 2001, anche per Xbox) che narrano la storia fino al quinto capitolo. Nel 2005 Sega aveva iniziato a lavorare su una versione MMORPG (massive multiplayer online role play game) di Shenmue per il mercato asiatico, poi cancellata ad aprile del 2007; e sono anche circolate delle voci di corridoio che parlavano di uno Shenmue III per Xbox 360 che terminasse la storia (includendo anche i primi due episodi della saga), ma Yu Suzuki ha ufficialmente smentito tutto con grande dispiacere di centinaia di migliaia di fan.
Shenmue è un titolo famoso per molti motivi, uno di questi è che era entrato nel guinness dei primati del videogame come produzione più costosa di tutti i tempi (superata solo in tempi recenti): settanta milioni di dollari, come confessa lo stesso Suzuki alla fine di questo filmato, dove illustra anche alcune delle caratteristiche innovative del gioco (per i tempi in cui uscì sul mercato):



La trama di Shenmue, ambientato nella seconda metà degli anni ottanta, vede protagonista il giovane Ryo Hazuki, figlio di un maestro di arti marziali che viene assassinato per mano di un enigmatico capo mafia cinese chiamato Lan Di, il quale gli sottrae un prezioso e antico manufatto dai poteri sconosciuti. Ryo decide di mettersi sulle tracce di Lan Di per far luce sulla morte del padre e vendicarla, risolvendo allo stesso tempo il mistero legato al manufatto rubato. Inizia così un lungo viaggio che lo vedrà partire dalla sua cittadina natia in Giappone per addentrarsi fin nel cuore della Cina.
Con Shenmue Suzuki voleva creare il gioco d’avventura definitivo, che fondesse l’impatto audiovisivo cinematografico con un’esperienza interattiva degna di una realtà alternativa. Per raggiungere questo scopo decise di realizzare un mondo dettagliato in cui contestualizzare il gioco, partendo dalla cittadina portuale giapponese di Yokosuka (dov’è interamente ambientato il primo episodio), ricostruita nei minimi particolari, fino alla metropoli di Hong Kong (presente nel secondo episodio), brulicante di vita come la sua controparte reale. Le ambientazioni e i quartieri visitabili sono talmente vasti (soprattutto a Hong Kong) da rendere necessario l’acquisto di alcune cartine per riuscire a orientarsi. Nel caso in cui ci si perda, sarà possibile comunque chiedere indicazioni ai passanti che saranno perfino disposti ad accompagnarci fino a destinazione. Un aspetto ancor oggi stupefacente di Shenmue è l’estrema cura riposta nei dettagli apparentemente più insignificanti, che permette una quasi totale simbiosi tra il giocatore e il protagonista: a partire dalle ambientazioni (come i negozi pieni di centinaia di oggetti differenti) per arrivare alle condizioni meteorologiche che mutano dinamicamente (dal sole alla pioggia, dal cielo coperto alle nevicate), senza tralasciare la varietà dei personaggi minori e il realismo dei loro comportamenti. Come nella realtà si potranno vedere gli impiegati recarsi al lavoro al mattino, o i commercianti aprire le loro botteghe per poi chiuderle la sera e tornare a casa; si potrà interagire con ogni personaggio e visitare ogni luogo, nonché maneggiare praticamente tutti gli oggetti presenti nel gioco. Come nella vita bisognerà nutrirsi e dormire, guadagnare dei soldi trovando un lavoro (ve ne sono di molti tipi differenti) e magari anche svagarsi, per esempio andando in qualche sala giochi dove sarà possibile divertirsi con delle riproduzioni esatte dei videogame creati da Yu Suzuki (Space Harrier, Hang On, Outrun e After Burner); e qui Shenmue diventa un gioco dentro il gioco, un perfetto meccanismo di scatole cinesi.
Pur possedendo un filone narrativo principale piuttosto articolato (diciamo degno di una telenovela), Shenmue lascia libero l’utente di comportarsi come vuole, esplorando il mondo di gioco, chiacchierando con i personaggi o svolgendo numerose azioni, spesso inutili ai fini dell’evoluzione della trama, ma comunque appaganti in termini di immedesimazione nella dimensione virtuale; a tal proposito basti ad esempio citare la possibilità di acquistare innumerevoli oggetti, tutti esaminabili da ogni punto di vista prospettico: dagli accendini ai portachiavi, dalle miniature giapponesi di personaggi dei videogame Sega alle bevande in lattina da appositi distributori automatici.
A parte le fasi di esplorazione, di dialogo e di avventura con risoluzione di enigmi, Shenmue presenta dei classici combattimenti di kung fu in stile Virtua Fighter (d’altronde quest’ultimo è un parto di Yu Suzuki) contro uno o più avversari contemporaneamente. Da questo punto di vista, il gioco assume una connotazione rpg in quanto, per potenziare le abilità di Ryo, bisognerà imparare delle tecniche di lotta che ci verranno insegnate da alcuni personaggi, o tramite delle pergamene reperibili in determinati luoghi.
In alcuni momenti della partita, si attiveranno delle scene in cui bisognerà riuscire a eseguire una determinata azione (pressione di un pulsante del controller o movimento direzionale) per terminare positivamente la sequenza: sono i cosiddetti “quicktime events”, eventi visivamente scenografici (perlopiù scene di inseguimento o di combattimento) che riprendono il gameplay dei vecchi lasergame tipo Dragon’s Lair e Space Ace, privilegiando la spettacolarità alla libertà di interazione per rappresentare ed evidenziare meglio la dimensione cinematografica del gioco.
E a proposito della dimensione cinematografica, l’ottima regia di Suzuki e il modo in cui vengono affrontate le tematiche presenti in Shenmue (amicizia, lealtà, amore, vendetta) riescono a creare un forte coinvolgimento emotivo nel giocatore, come dimostra il filmato introduttivo del primo episodio (“Perdonami perché sono costretto ad abbandonarti. Tieni sempre vicino a te gli amici e le persone che ami”, sono le ultime parole pronunciate dal padre di Ryo prima di morire):



Altro esempio dell’abilità narrativa di Suzuki, che riesce a incantare l’utente con la sua delicatezza e profondità, è costituito dalla storia d’amore del protagonista con la dolce Nozomi, una ragazza dello stesso paese di Ryo che dovrà poi trasferirsi altrove con la famiglia. Questa storia d’amore, tratteggiata in maniera tipicamente orientale, non trova una realizzazione esplicita, ma rimane uno scambio di desideri mai chiaramente svelati, attraverso intensi sguardi e dialoghi toccanti e malinconici.
Degna di lode la suggestiva colonna sonora d’impostazione sinfonica, che è universalmente ancor oggi riconosciuta come una delle migliori mai realizzate in un videogame. Eccone un assaggio: il tema principale sottolineato da un montaggio di alcune scene del gioco.



L’impostazione cinematografica di Shenmue e l’enorme quantità di materiale audiovisivo presente nel gioco ha addirittura permesso a Yu Suzuki di creare un lungometraggio di ben novanta minuti utilizzando le sole scene più significative del primo episodio. Questo film di Shenmue è stato proiettato nelle sale cinematografiche giapponesi e poi venduto in videocassetta; in seguito è stato riproposto, a vantaggio di quanti non lo avessero giocato, in un DVD incluso nell’edizione Xbox del secondo episodio.
Nonostante il fatto che già solo il primo episodio abbia venduto oltre un milione di copie, Shenmue fu comunque considerato un insuccesso commerciale, visti i costi esorbitanti sostenuti per la sua realizzazione. È questo uno dei rari casi in cui l’industria non si è piegata al profitto, ma ha foraggiato la creatività artistica dando alla luce un prodotto unico, che ha lasciato una traccia indelebile nel cuore di quanti hanno potuto giocarlo, come provano i prossimi due filmati: il primo è un arrangiamento al pianoforte del tema di Shenmue a opera di un appassionato asiatico; mentre il secondo mostra, attraverso oltre quattrocento scatti fotografici, una pittrice a casa di un amico polacco intenta a realizzare un murales di quattro metri per tre che ritrae una classica inquadratura del gioco (Ryo a Hong Kong).





Se al giorno d’oggi Shenmue e il suo seguito non sono più tecnicamente così spettacolari e a posteriori, rigiocandoli, si ritrovano in essi le stesse meccaniche ormai consolidate e probabilmente migliorate in titoli più recenti e certamente più noti al grande pubblico, non c’è da stupirsi o da svilire l’opera di Yu Suzuki per questo: al contrario, ciò dimostra chiaramente come sia stata imitata divenendo quella pietra miliare su cui hanno sentito la doverosa esigenza di basarsi tutti i videogiochi successivi di un certo spessore narrativo e artistico. Per quanto mi riguarda, se assaporato lentamente e con la dovuta attenzione ai mille particolari che lo caratterizzano, Shenmue e soprattutto il suo secondo episodio rappresentano un’esperienza di raro valore e, per molti versi, davvero insostituibile.

Chiudiamo il cerchio


Per completezza rispetto al precedente post, sono andato a ripescare (non vi dico la fatica!) la mia recensione del primo videogame ("Redemption" per PC) ispirato al gioco di ruolo cartaceo "Vampire: The Masquerade" pubblicata sul quotidiano IL SECOLO XIX nell'ormai lontano 5 luglio dell'anno 2000. Eccola qui... Per poterla leggere cristianamente, cliccate sull'immagine.
A differenza di Bloodlines, Redemption era un role play game d'impostazione più classica e probabilmente proprio per questo motivo riscosse fin da subito un vasto consenso di pubblico, soprattutto dei fan del gioco di ruolo cartaceo di Vampire.
Approfitto dell'occasione per ringraziare pubblicamente il mio caro amico Roberto Barabino che, per oltre cinque anni, prima che il Secolo avesse un'edizione elettronica su web, si è sbattuto non poco ad acquisire via scanner i miei articoli con la frequenza di due/tre volte alla settimana a mano a mano che venivano pubblicati.

Vampire: The Masquerade - Bloodlines


Dato che in questo blog tratterò principalmente di videogame, iniziamo subito con il titolo che più ha toccato le corde della mia immaginazione e che meglio secondo me rappresenta il concetto di videogioco. Si tratta di "Vampire: The Masquerade - Bloodlines" per PC. Beccatevi il trailer e poi ne riparliamo meglio in uno stralcio dal libro sul videogame design che sto ultimando.



Bloodlines è il secondo videogioco della saga di "Vampire: The Masquerade" tratta dall'omonimo gioco di ruolo (cartaceo). Creato da Troika Games (gli autori del rinomato Fallout) utilizzando il motore di Half Life 2 - pure prima che lo stesso Half Life 2 uscisse sul mercato - con risultati prevedibilmente immaturi dal punto di vista tecnico, venne pubblicato nel novembre del 2004 e segnò il fallimento della stessa Troika, che non riuscì a rientrare con i costi di produzione sostenuti, pur avendo trovato un publisher come Activision, a causa delle vendite non esaltanti motivate dalla presenza dei numerosi e irritanti bug di ogni tipo che affliggevano il gioco.
Bloodlines fu infatti un progetto molto ambizioso, che miscelava in un unico prodotto un gioco di ruolo con un first person shooter e con uno stealth action game, annaffiando il tutto con meccaniche da avventura grafica dei vecchi tempi (per esempio nei dialoghi a risposta multipla). Ma la sua più grande ambizione era quella di riuscire a rendere l'esperienza di gioco totalmente differente a seconda del personaggio principale selezionato, fornendo inoltre un'elevata libertà di scelte e di gameplay nel corso di ogni partita.
Infatti, a seconda del tipo di vampiro (o di vampira) che si decideva di interpretare, il titolo mutava sensibilmente le sue dinamiche di gioco: ad esempio, impersonando il mostruoso Nosferatu, si era costretti a vivere occultati nell'ombra e, al fine di non allarmare continuamente gli esseri umani con la propria presenza, era necessario utilizzare le fogne per spostarsi attraverso i differenti luoghi della città e star sempre bene attenti a farsi vedere il meno possibile. Al contrario, se si sceglieva di vestire i panni di un carismatico Toreador, ci si poteva servire del proprio fascino per ammaliare e sottomettere gli esseri umani, raggiungendo i vari obiettivi grazie allo charme e alle proprie capacità di persuasione e seduzione. Se poi si desiderava un approccio più violento e rabbioso, si poteva magari optare per il Tremere (una specie di stregone vampiro col potere di agire direttamente sul sangue delle altre creature), per l'animalesco Gangrel che possedeva l'abilità di trasformarsi in lupo, o anche per lo psicopatico e assolutamente folle Malkavian.
Così, per ottenere l'ingresso a una festa privata nel caso in cui si fosse stati un Nosferatu sarebbe convenuto strisciare nell'ombra eludendo la sorveglianza all'entrata, mentre come Toreador sarebbe stato più opportuno tentare di convincere i buttafuori a farci passare; i Tremere, dal canto loro, si sarebbero invece potuti fare ben pochi problemi a passare sul corpo di chiunque avesse impedito loro l'accesso alla villa.
Ecco un filmato che presenta i diversi clan dei vampiri disponibili nel gioco (da menzionare la stupenda musica di sottofondo, parte della colonna sonora di Bloodlines):



A proposito della selezione del personaggio principale, era memorabile il test attitudinale presentato al giocatore prima di iniziare una partita, e che gli indicava il tipo di vampiro a lui più affine a seconda delle risposte fornite a domande sulla vita di tutti i giorni.
Il gioco poi cominciava con “l’iniziazione” del protagonista nella società degli immortali e ci vedeva coinvolti in un’intricata quanto intrigante trama ambientata a Los Angeles, sullo sfondo di una cruenta lotta di potere tra i sette clan dei vampiri, intenzionati a impossessarsi del sarcofago contenente il corpo di uno dei più antichi e potenti non-morti mai esistiti.
Chiaramente uno dei punti di forza del gioco era rappresentato dal fascino dato dal ricco contesto narrativo del gioco di ruolo cartaceo su cui Bloodlines poteva basarsi: in "Vampire: The Masquerade" i vampiri sono sempre esistiti e convivono con gli umani evitando il più possibile di rivelare la loro presenza e obbedendo a un insieme di regole stabilite dalla loro società segreta. La violazione di tali leggi può arrivare a comportare la pena di morte (o meglio l’esecuzione capitale) di un vampiro da parte dei suoi simili. Tra queste regole figurano, ad esempio, il non svelare la propria natura agli umani, il non arrivare a uccidere un umano mentre ci si nutre del suo sangue, né trasformarlo in immortale.
Al di là della differente impostazione di gioco e dell'opportunità di personalizzare ulteriormente il proprio personaggio durante lo svolgimento della partita, potenziandone di volta in volta diverse e peculiari abilità, Bloodlines si distingueva anche per la varietà di possibilità che offriva al giocatore per affrontare e risolvere differenti situazioni di gioco. Per citare solo uno degli innumerevoli esempi di ricchezza di gameplay, a un certo punto si faceva la conoscenza del custode di un cimitero (ironicamente chiamato Romero), il quale ci chiedeva il favore di procurargli un pò di compagnia femminile per la nottata, visto che lui era impossibilitato ad abbandonare la sua "postazione di guardia" a causa di una indesiderata quanto peripatetica attività di alcuni defunti che non avevano per nulla voglia di starsene buoni nei loro rispettivi loculi. A quel punto potevamo decidere di assecondare il buon Romero, andando in città a procurargli un'avvenente pulzella con le buone maniere o anche con le cattive (visto che non sarebbe stato certamente facile persuaderla a seguirci in un camposanto); oppure ci saremmo potuti offrire di sostituirlo per il tempo necessario a svagarsi in città, e avremmo quindi preso il suo posto: sarebbe così iniziata una fase di gioco (piuttosto difficile, a dire il vero) in cui ci saremmo dovuti munire di fucile e abbattere tutti gli zombi che avessero cercato di uscire dai cancelli del cimitero.
Da menzionare anche le diverse e frequenti diramazioni nella poliedrica e complessa trama di fronte a cui ci si sarebbe trovati, e che avrebbero influenzato notevolmente sia l'evoluzione degli avvenimenti, sia la stessa conclusione del gioco (che prevedeva ben tre finali totalmente differenti). Per mostrare un esempio di questi bivi decisionali basti raccontare l'episodio che ci vedeva incontrare una ragazza in fin di vita, stesa su una barella, durante una delle nostre frequenti sortite in ospedale (per procurarci del nutrimento extra attraverso la corruzione di un infermiere della banca del sangue). La malcapitata giovane ci chiedeva disperatamente di aiutarla, e noi ci rendevamo conto che di lì a poco sarebbe spirata. A quel punto dovevamo scegliere se salvarla con l'unico mezzo a nostra disposizione (cioè facendole bere un pò del nostro sangue immortale) e violare così una delle leggi della società vampirica, oppure ignorare il bisogno di quello sfortunato e insignificante essere umano, restando ligi alle regole della nostra stirpe. Nel caso in cui si fosse corso il rischio di aiutare la ragazza, l'avremmo poi incontrata molto più avanti nel gioco, ormai trasformata in una nostra succube e disposta a far di tutto per compiacerci - per esempio sia procurandoci delle ignare vittime da "prosciugare" sia cambiando totalmente look numerose volte a seconda del nostro capriccio.
Questa molteplicità di approcci al gioco e la presenza di continue scelte e diramazioni della trama principale durante la partita (oltre che l'uso inesperto del complesso motore grafico e fisico di Half Life 2) hanno però prestato il fianco a un pericoloso quanto letale rovescio della medaglia: la possibilità di numerosi bug che si sono in effetti verificati in quantità massiccia nella prima versione uscita sugli scaffali, e che hanno abbassato le vendite del gioco ben al di sotto delle previsioni. A nulla è infatti valso il primo e corposo patch che la Troika ha rilasciato poco dopo la distribuzione del titolo sul mercato: troppi errori restavano ancora irrisolti e alcuni erano talmente pesanti da causare l'impossibilità di terminare la partita se si svolgevano determinate azioni nel corso del gioco. Nel febbraio del 2005 Troika Games fallì, ma alcuni dei suoi programmatori continuarono a produrre degli unofficial patch per risolvere gradualmente i problemi che ancora affliggevano Bloodlines. Contemporaneamente, anche se a quel punto era troppo tardi per Troika, il gioco cominciò a farsi conoscere attraverso una nicchia di appassionati, arrivando a diventare un vero e proprio cult game con un pubblico di utenti sempre più numeroso. A conferma di ciò, a distanza di oltre tre anni e mezzo dalla sua uscita, sebbene sia ormai praticamente perfetto e quasi esente da bug di sorta, Bloodlines continua a generare consensi tali da motivare ancora un'opera di perfezionamento certosino, che non si è mai interrotta e che continua attraverso gli aggiornamenti non ufficiali del gioco, l'ultimo dei quali è uscito meno di un mese fa.
E in effetti come dimenticare le suggestive atmosfere notturne di una Los Angeles decadente e insidiosa ricostruita nel gioco con le sue strade di periferia e il porto di Santa Monica, il quartiere nobile antico e diroccato, e quello moderno e brulicante di vita, i suoi fumosi nightclub e la sua rutilante Chinatown? Come pure contribuiscono alle atmosfere magiche e oniriche di Bloodlines le sue azzeccate musiche d'accompagnamento (c'è anche una canzone dei nostrani Lacuna Coil nei titoli di coda) e, last but not least, la galleria dei numerosi personaggi con cui si interagirà durante la partita, ognuno col suo carattere e le sue motivazioni, con una storia da raccontare e una personalità a tuttotondo.
Ecco uno stralcio della fantastica colonna sonora del gioco; si tratta del Chinatown theme, un avvolgente tuffo sensoriale nel mondo di Bloodlines:



Per me Vampire Bloodlines è tutto quello che un buon videogioco dovrebbe essere: un'esperienza emozionale che coinvolge e appassiona, trasportando l'utente in un'affascinante e ipnotica realtà alternativa dalla quale ci si stacca come da un vivido sogno.